I. Non c’è più, ma c’è ancora
In molte organizzazioni, soprattutto quelle che si strutturano attorno a persone forti — figure chiave, storiche, fondative o catalizzatrici — l’uscita di un membro centrale non coincide mai con la sua reale scomparsa.
Accade, anzi, che l’assenza cominci a funzionare come una presenza: meno visibile, ma più pervasiva. Più difficile da trattare, proprio perché non ha più un corpo su cui proiettarsi, ma solo un campo simbolico attorno a cui il team continua a ruotare.
Questo fenomeno è più frequente di quanto si ammetta nel linguaggio ufficiale dell’HR.
Si tende a parlare di turnover, di succession planning, di vacancy management.
Tutti termini tecnici che presuppongono un modello lineare: una persona se ne va, se ne cerca un’altra, si ridefiniscono i ruoli e si riparte.
Ma la realtà organizzativa non funziona in questi termini.
Esiste sempre una traccia residua che, se non viene elaborata, condiziona il funzionamento del sistema per mesi, spesso in modo subdolo.
È il caso dei ruoli critici, certo — come ad esempio un CFO che per dieci anni ha centralizzato ogni flusso decisionale, o un Responsabile Operations che ha instaurato relazioni di controllo informale difficilmente sostituibili.
Ma il fenomeno si presenta anche in ruoli meno apicali, se il soggetto uscente è stato per lungo tempo coagulo relazionale, mediatore tacito, autorità affettiva, punto di equilibrio di conflitti sotterranei.
Quando questa persona se ne va, il vuoto che si genera non è solo operativo. È formale, nel senso profondo: la forma della struttura, nella sua memoria, continua a contenerla.
I sintomi sono noti ma raramente interpretati per ciò che sono.
Ecco alcuni segnali che indicano la presenza di una “forza fantasma” in atto:
- Dinamiche di team che rimandano costantemente decisioni, con motivazioni vaghe (“non è il momento”, “serve più chiarezza”)
- Nuove figure che non riescono a imporsi, pur avendo competenza e autorità formale
- Processi decisionali che rallentano, oppure si duplicano, come se si cercasse di “tenere insieme” due modalità non più compatibili
- Nessuna revisione concreta dei processi lasciati in sospeso, come se l’uscita non fosse mai stata davvero metabolizzata
- Presenza diffusa di frasi rituali, come “Lui prima faceva così”, “Lei qui si muoveva in un altro modo”, che rivelano una forma ancora attiva nella psiche collettiva
Questi segnali non vanno trattati come problemi di onboarding o di cultura aziendale.
Vanno trattati per ciò che sono: risposte difensive a un vuoto non rielaborato.
Quando un’organizzazione perde una figura di riferimento e non rilegge simbolicamente l’assetto che quella figura teneva in equilibrio, tutto ciò che viene dopo si trova a dover “rimpiazzare” senza poter veramente sostituire.
La selezione in questi casi diventa una trappola.
Non si cerca un nuovo contributo. Si cerca un sostituto di qualcosa che non era solo competenza, ma topologia invisibile.
E finché il campo relazionale resta occupato da un’assenza non nominata, nessuna nuova presenza riesce a trovare posizione.
II. Organizzazioni gravitazionali: come l’assenza diventa struttura
In teoria, ogni struttura organizzativa è definita da elementi visibili: chart formali, job description, flussi approvati, relazioni di riporto. Ma la realtà operativa di qualsiasi impresa — dalle PMI alle grandi corporation — è sostenuta da un insieme di forze invisibili, spesso non documentate ma perfettamente reali. Tra queste, le assenze residue sono forse le più potenti: forze che, pur non avendo più referenti attivi, continuano a generare attrazione, blocchi, deviazioni.
Chi opera nella selezione verticale e nella progettazione di assetti sa che, dopo l’uscita di una figura ad alta centralità simbolica, l’intero sistema può entrare in una fase di riorientamento gravitazionale. La struttura non si disgrega, ma si adatta alla perdita come un corpo celeste che, privato del proprio centro, comincia a ruotare su orbite eccentriche.
Questo non è un linguaggio metaforico. È una dinamica misurabile: nel ritmo decisionale, nella qualità dell’engagement, nella capacità di riposizionare obiettivi strategici.
Un caso emblematico lo si osserva frequentemente quando esce una figura fondatrice. Non serve che sia il CEO. Basta che sia stata, per lungo tempo, la “presenza organizzativa di riferimento”: una persona in grado di stabilire, anche informalmente, ciò che era legittimo o meno fare.
Nel momento in cui quella figura viene meno, il sistema spesso non si allinea attorno al successore, ma attorno al vuoto lasciato. In questi casi, l’organizzazione non diventa più fluida: diventa centrifuga.
Ognuno cerca nuove ancore, nuove direttrici relazionali, oppure si irrigidisce nella reiterazione del modello precedente, cercando di mantenere un equilibrio apparente.
La letteratura HR ha spesso trascurato questo passaggio, preferendo spostare l’attenzione sulla fase di “onboarding del successore” o sulla “comunicazione della transizione”. Ma chi seleziona con consapevolezza sistemica sa che la forza della traccia lasciata da chi se n’è andato non si risolve con una riunione né con una mail ben scritta.
Si tratta invece di intervenire su un piano più sottile, ma strategicamente determinante: l’organizzazione delle aspettative non dichiarate.
Un esempio concreto: un’azienda industriale di medie dimensioni, storicamente diretta da un COO dotato di fortissima leadership implicita, non riesce a integrare — nemmeno dopo 18 mesi — il nuovo responsabile.
Formalmente tutto è in ordine: esperienza coerente, onboarding curato, supporto dal top management.
Eppure, il team operativo continua a comportarsi come se nulla fosse cambiato: i tempi decisionali si allungano, le escalation non funzionano, e i riferimenti impliciti restano rivolti “a come si faceva prima”.
Il problema non è il nuovo. È l’assenza strutturale del vecchio.
Un’assenza che non è stata affrontata, che nessuno ha decodificato, e che ora agisce come una forza di coesione involontaria.
In questi casi, parlare di “resistenza al cambiamento” è una semplificazione. Non si tratta di resistere: si tratta di orbite ancora attive, generate da una presenza che, pur essendo terminata, non è stata elaborata dalla struttura collettiva.
L’HR maturo deve riconoscere questi pattern.
Perché il rischio non è solo quello di perdere performance. Il rischio più grave è quello di costruire un nuovo assetto solo in funzione di un vuoto non rielaborato.
E quando si seleziona qualcuno solo per coprire un’assenza, il nuovo arriva non come soggetto, ma come surrogato.
È lì che la selezione smette di essere generativa, e comincia a diventare un tentativo maldestro di riparare l’irrisolto.

III. Il rischio della surroga: la selezione come riparazione fallita
Quando una figura centrale lascia l’organizzazione, il primo impulso operativo è semplice, lineare, apparentemente logico: sostituirla.
Ma l’idea stessa di sostituzione contiene un’insidia profonda.
Perché presuppone che un ruolo sia un contenitore fisso, e che chi entra debba semplicemente riempirlo. Nulla di più distante dal funzionamento reale delle strutture complesse.
La maggior parte dei fallimenti di onboarding, nei ruoli ad alta esposizione, non si verifica per incompatibilità tecnica, ma per una cattiva gestione del campo simbolico che quel ruolo ha ereditato.
Se la figura uscente non è stata decentrata — simbolicamente, relazionalmente e culturalmente — ogni nuovo ingresso si troverà in una posizione ambigua: formalmente autorizzato, informalmente respinto.
Il sistema non rifiuta il nuovo.
Rifiuta la sostituzione di qualcosa che non è ancora stato lasciato andare.
Questo è il punto cieco di molte selezioni.
Non si seleziona per costruire, ma per rimpiazzare.
E chi entra lo avverte: il brief ricevuto è spesso saturo di riferimenti al passato (“c’era lui”, “gestiva tutto lei”, “abbiamo bisogno di uno simile ma diverso”) e il mandato diventa ibrido, paradossale: replicare il precedente, ma portare innovazione.
Un caso emblematico: un HR Manager subentra a una responsabile storica, uscita dopo vent’anni per decisione unilaterale della proprietà. Il team la stimava. Era, di fatto, co-architetta del modello culturale.
Il suo successore — preparato, con esperienza internazionale, ottima presenza relazionale — resiste solo otto mesi. Nel report d’uscita emergono frasi come:
“Tutti erano gentili, ma sembrava che stessi violando qualcosa”.
“Qualsiasi proposta veniva confrontata con un criterio implicito che io non conoscevo.”
“Mi veniva chiesto di cambiare, ma mai davvero lasciato lo spazio per farlo.”
Il problema non era l’ingresso. Era la surroga.
La sostituzione è una trappola quando si finge che il ruolo non sia stato abitato da una soggettività che ne ha modificato il significato.
E quando non si affronta il lutto del ruolo precedente, il nuovo viene vissuto come un intruso in un sistema che non ha ancora elaborato la propria perdita.
In queste situazioni, la selezione può diventare — inconsapevolmente — un meccanismo di rimozione istituzionale: si cerca di dimenticare l’assenza mettendoci sopra una nuova presenza.
Ma il risultato è disfunzionale: il sistema organizza resistenze silenziose, le nuove idee vengono trattate come deviazioni, e il turnover rischia di innescarsi di nuovo, in un ciclo invisibile di rigetto sistemico.
La domanda vera da porre non è: “Chi inseriamo ora?”
Ma:
“Cosa stiamo cercando davvero con questa nuova figura: una funzione o un risarcimento?”
Finché non si risponde a questo, ogni processo selettivo è a rischio.
Non per incompetenza. Ma per una surroga simbolica non risolta.
IV. Decodificare la forza fantasma: nominare per riscrivere
Una delle competenze più sottovalutate in ambito HR è la capacità di nominare ciò che non è più visibile ma continua a generare effetti. Le organizzazioni, soprattutto quelle con forte storia interna, sono ambienti saturi di “non detti strutturanti”: ciò che non viene dichiarato apertamente, ma detta — in modo implicito — le regole di comportamento, i confini dell’autorità, la distribuzione delle possibilità.
La forza fantasma, intesa come la traccia psico-organizzativa lasciata da una figura uscita, non può essere trattata con strumenti classici di gestione del cambiamento.
Non è un tema motivazionale, né un problema di comunicazione interna.
È una presenza residua, e come tale agisce attraverso segni, rituali, resistenze.
Decodificarla non significa eliminarla.
Significa leggerla, legittimarla, integrarla nella nuova configurazione.
Ma perché questo accada, è necessario un doppio movimento:
- Nominare la figura uscente per ciò che ha rappresentato
Non in termini aneddotici (“era una brava persona”), né tecnici (“gestiva molto bene la parte commerciale”), ma nella sua funzione simbolica:
– era l’elemento di tenuta in una struttura disfunzionale?
– era il filtro tra direzione e team?
– era l’unico legittimato a dire no?
Una figura può essere uscita, ma continuare ad agire come codice implicito nei comportamenti altrui. - Esplicitare il vuoto senza urgenza di colmarlo
In molte aziende si ha il riflesso condizionato di “riempire il vuoto” il più rapidamente possibile. Ma i vuoti non sono buchi da tappare: sono zone di ristrutturazione della forma.
Lasciarli agire per un tempo congruo, senza forzarne la chiusura, consente alla struttura di esprimere nuove configurazioni, invece di replicare quella precedente.
Serve un tempo-limite. Ma serve anche un tempo-matrice.
Esempio: in una società di consulenza strategica, la fuoriuscita di una partner storica genera nei mesi successivi una riduzione drastica di proposte creative da parte del team.
Non c’è conflitto. Non c’è caos.
Ma tutto sembra immobile.
L’HR, inizialmente, interpreta il fenomeno come perdita di engagement.
Solo dopo una serie di interviste narrative emerge che la ex-partner era considerata, senza mai esserlo formalmente, la “garante implicita del rischio creativo”.
In sua assenza, nessuno si sente più legittimato a proporre ciò che non è già stato validato.
Il fantasma non è la persona. È la funzione simbolica che nessuno ha ancora assunto.
L’intervento non consiste nel trovare “qualcuno che lo faccia”.
Consiste nel riconoscere che quella funzione non era mai stata nominata come tale.
Solo a partire da questo riconoscimento si può generare una nuova disposizione del potere interno, non per assegnazione, ma per ricomposizione relazionale.
La decodifica della forza fantasma è un atto profondamente organizzativo.
Significa accettare che non tutte le dinamiche sono visibili nei KPI, ma molte sono iscritte nella topologia invisibile delle aspettative.
E solo chi sa leggere queste mappe può costruire selezioni verticali, non riparative.
La forza fantasma si scioglie non con la sostituzione, ma con la nominazione precisa della forma che ha lasciato in sospeso.
V. Una nuova orbita possibile: progettare intorno al vuoto
Nel contesto attuale, caratterizzato da una crescente complessità organizzativa e da un mercato del lavoro in continua evoluzione, la gestione delle uscite di figure chiave rappresenta una sfida critica per le aziende. Secondo l’Osservatorio Zucchetti HR 2024, il 64% delle organizzazioni italiane riconosce l’importanza di utilizzare KPI e analisi HR per prendere decisioni strategiche, evidenziando la necessità di un approccio data-driven nella gestione delle risorse umane .
Quando una figura centrale lascia l’organizzazione, il rischio è quello di cercare una sostituzione diretta, senza considerare l’impatto simbolico e relazionale della sua assenza. Questo approccio può portare a una “surroga” inefficace, in cui il nuovo ingresso non riesce a integrarsi pienamente nel sistema esistente.
Per progettare una nuova orbita organizzativa attorno al vuoto lasciato da una figura uscente, è fondamentale adottare una strategia che consideri:
- Analisi delle competenze residue: valutare le competenze e le responsabilità distribuite tra i membri del team, identificando eventuali gap e sovrapposizioni.
- Ridefinizione dei ruoli: ristrutturare i ruoli e le responsabilità in base alle nuove esigenze organizzative, evitando di replicare schemi precedenti che potrebbero non essere più funzionali.
- Coinvolgimento del team: promuovere un processo partecipativo che coinvolga i membri del team nella definizione della nuova struttura, favorendo l’adozione e l’engagement.
- Formazione e sviluppo: investire in programmi di upskilling e reskilling per preparare i dipendenti ad assumere nuove responsabilità e affrontare le sfide emergenti.
- Monitoraggio e adattamento: implementare sistemi di monitoraggio per valutare l’efficacia della nuova struttura e apportare modifiche in base ai feedback e ai risultati ottenuti.
Adottando questo approccio, le organizzazioni possono trasformare l’assenza di una figura chiave in un’opportunità per rinnovare e rafforzare la propria struttura, promuovendo una cultura dell’adattabilità e della resilienza.
VI. Perché trattenere forma senza riformulare struttura è un costo invisibile
Le organizzazioni che non affrontano correttamente il vuoto lasciato da una figura chiave pagano un costo silenzioso ma persistente, che raramente viene misurato.
Non si tratta solo di perdita di know-how.
Si tratta di disallineamento operativo, blocco decisionale, calo di engagement e mancato sviluppo delle funzioni interne.
Secondo uno studio Deloitte 2023, le aziende che non riescono a riallineare ruoli critici entro 90 giorni dall’uscita di un executive subiscono una riduzione media del 14% sulla produttività operativa nei reparti coinvolti.
Ma ciò che è più critico, in chiave HR, è che il 53% delle sostituzioni “urgenti” fallisce entro il primo anno, per mancanza di compatibilità non tecnica, ma strutturale (fonte: McKinsey Talent Insights).
Per questo, il problema non è “chi assumere”.
È quale funzione sta cercando di emergere, e con quale forma la si vuole sostenere.
La selezione, in questi casi, non è un processo di riempimento, ma un lavoro di ricomposizione sistemica.
Richiede:
- analisi dei vettori relazionali lasciati in sospeso
- ricognizione delle competenze residue e tacite
- verifica dei margini di ridefinizione del ruolo
- modellazione delle interazioni cross-funzionali future
- definizione della nuova funzione del ruolo, e non solo del titolo
In Selèct non procediamo finché questi elementi non sono chiari.
Selezionare verticalmente significa leggere la forma che si sta svuotando, e non riproporla.
Solo dopo questa lettura è possibile agire.
Ogni altra strada è una sostituzione d’emergenza.
Che potrebbe funzionare.
Ma statisticamente, no.
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